Cosa possiamo fare? – Parashat Pekudei

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto ed adattato da David Malamut

Molte volte ci imbattiamo in un atto che merita di essere compiuto, ma sappiamo che non siamo in grado di portarlo a termine. È questo un motivo per evitare completamente? Si può pensare che se non riesco a portare a termine l’atto, lascio il lavoro ad altri.

Parshat Pekudei descrive l’esecuzione delle istruzioni date nella parasha di  Tetzaveh – la preparazione delle vesti sacerdotali e la costruzione del Mishkan, il Tabernacolo. I contributi per la costruzione del Mishkan e degli indumenti sacerdotali furono dati dall’intera nazione, e l’esecuzione fu eseguita da Bezalel ben Uri e Oholiab ben Ahisamach, e come è scritto nell’ Esodo 36, 2, insieme a “ognuno che si sentì animato ad accostarsi all’opera, per eseguirla [cioè per contribuire alla sua esecuzione]”. È stata una celebrazione nazionale della collaborazione nella creazione del luogo santo come possiamo leggere nell’ Esodo 25, 8 dove è scritto che Dio ha detto: “E mi faranno un Santuario, ed io avrò sede in mezzo ad essi.”.

Ma dopo che le assi e le tende furono preparate per il Mishkan, chi costruì effettivamente il Mishkan stesso? A questo proposito, a Mosè stesso fu comandato (Esodo 40, 1-2):

<<Ed il Signore parlò a Mosè, con dire: Nel dì del primo mese [novilunio], (cioè) nel primo (giorno) di esso mese ergerai il tabernacolo del padiglione di congregazione.>>

In effetti, Mosè lo fece, come descritto più avanti (Esodo 40, 17-18):

<<Ora, nel mese primo dell’anno secondo, al primo del mese, fu eretto il tabernacolo. Mosè eresse il tabernacolo, e collocò le sue basi, e pose le sue assi, e collocò le sue sbarre, e rizzò le sue colonne.>>

Analizzando attentamente il linguaggio della Torah, notiamo che la costruzione è descritta due volte: una volta passivamente, “il Mishkan fu eretto”, senza specificare chi lo eresse, e una seconda volta attivamente, specificando Mosè come colui che agì – “Mosè eresse il tabernacolo”.

I saggi del Midrash notarono questa duplice presenza, indicazione e la approfondirono. Raccontano che Bezalel, Oholiab e gli altri individui dal cuore saggio che costruirono il Mishkan tentarono di erigerlo da soli, ma senza successo. La ragione di ciò era che Mosè si rammaricava di non essere stato coinvolto fisicamente alla costruzione del Mishkan, quindi Dio gli riservò il diritto di erigerlo da solo, come vediamo scritto nel Midrash Tanchuma, per la parasha di Pekudei al Siman 11:

<<Mosè fu turbato da tutto questo finché il Santo, benedetto sia Lui, gli disse: “Mosè, poiché eri scontento per il fatto di non aver partecipato ai lavori di costruzione del Mishkan, questi uomini saggi non sono in grado di erigere esso…“. Mosè rispose: “Signore dell’Universo, non so neanche io come erigerlo.” Gli disse: “Applicati ad esso e si reggerà da solo, perché ho scritto di te che tu lo farai erigere.” >>

Pertanto, Mosè non eresse effettivamente il Mishkan, ma si limitò a comportarsi come se lo avesse fatto. Colui che eresse il Mishkan fu Dio stesso. Tuttavia, sorge la domanda: perché viene detto: “E Mosè eresse il Mishkan”? Cosa guadagnò Mosè agendo come se stesse erigendo il Mishkan quando in realtà non avrebbe potuto erigerlo da solo?

C’è un messaggio nascosto qui, su cui le generazioni future dovranno riflettere. Spesso ci imbattiamo in compiti che dovremmo svolgere, ma sappiamo che non possiamo completarli. È questo un motivo per astenersi del tutto? Si potrebbe pensare che se non riesco a portare a termine il compito, lascio il lavoro ad altri. Forse questo è ciò che pensò Mosè quando disse a Dio che non avrebbe potuto erigere il Mishkan da solo.

Tuttavia, la risposta divina a Mosè presentava un approccio diverso: fai quello che puoi e non preoccuparti di portare a termine il compito. Dio assiste coloro che fanno del loro meglio e garantisce loro il successo anche se le capacità umane sono limitate.

Non possiamo, ad esempio, decidere le scelte dei nostri figli per loro, ma possiamo certamente investire nella loro istruzione, impartire loro valori e sperare nell’“assistenza celeste” – l’aiuto divino che porterà al successo. Questo vale nell’istruzione, nel matrimonio, nell’adempimento dei comandamenti e in tutti gli ambiti della vita. L’uomo non è tenuto a fare ciò che va oltre le sue capacità, ma non è nemmeno esentato dal fare ciò che gli è possibile – e il resto lo lasciamo fare al Creatore del mondo.

 

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