Soddisfazione e sacrificio – Parashat Vayikra

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto ed adattato da David Malamut

I sacrifici sono l’espressione antica del desiderio dell’uomo di avvicinarsi a Dio, di incontrarlo, di sentire la Sua presenza. Se proviamo tradurre questo nella nostra cultura attuale e moderna, l’esperienza del sacrificio è un’esperienza religiosa in cui la persona incontra il sublime e tocca l’eternità.

Questo Shabbat iniziamo la lettura del Libro del Levitico, il terzo libro del Pentateuco, che tratta principalmente delle leggi del Tempio, dei sacerdoti e dei sacrifici.

Le prime due parashot di questo libro – “Vayikra” e “Tzav” – descrivono in dettaglio i vari tipi di sacrifici che potrebbero e talvolta c’è l’obbligo di essere portati al Tempio. I sacrifici si dividono in diverse categorie: il sacrificio “olah”, che viene interamente bruciato sull’altare; i sacrifici “chatat” e “asham” portati ad espiare peccati specifici; il sacrificio “shelamim”, che è un’offerta celebrativa condivisa da chi la porta; e l’offerta “mincha”, che è un sacrificio a base vegetale, a base di grano o orzo. Ciascuno di questi sacrifici ha leggi specifiche e precise, tuttavia esistono alcune halachot(leggi) comuni condivise a tutti i tipi di sacrifici. E queste sono le seguenti leggi come possiamo leggere nel Levitico 2, 11:

<<Qualsiasi oblazione farinacea che presentiate al Signore, non si farà di lievitato; poiché di nessun lievito, né d’alcun miele, dovete ardere sacrifizio da ardersi al Signore.>>

In questo versetto vengono menzionate due cose che non devono essere portate come offerte: qualsiasi cosa lievitata, ovvero il grano lievitato e cotto, e il miele, che comprende tutti i tipi di frutti dolci. Cosa c’è in queste due cose, qualunque cosa lievitata e frutti dolci, che causa la loro proibizione come offerte? Inoltre, se dovessimo determinare noi stessi le leggi dei sacrifici, ci sarebbe una ragionevole possibilità che prescriveremmo di portare cibi specificamente squisiti come prodotti da forno e frutta dolce, come mezzo per onorare Dio con offerte impressionanti fatte di cibi deliziosi. Eppure, la Torah proibisce specificamente questi cibi come offerte. Perché?

Molti degli antichi commentatori della Torah vedevano in questa legge una visione fondamentale dell’approccio dell’umanità al servizio di Dio. I sacrifici sono l’espressione antica del desiderio dell’uomo di avvicinarsi a Dio, di incontrarlo, di sentire la sua presenza. Se traduciamo questo nella nostra cultura moderna, l’esperienza del sacrificio è un’esperienza religiosa dove l’uomo incontra qualcosa di più alto di lui e tocca l’eternità. Questo è il momento culmine dell’esperienza religiosa in cui l’uomo sente di poter donare qualcosa di sé a Dio e, per un breve istante, sente la vicinanza di Dio e la liberazione dai vincoli materiali a cui siamo soggetti.

La questione è come l’uomo affronta un simile incontro. Non è un incontro facile o semplice per l’uomo, perché l’esperienza dell’incontro con Dio può far sì che l’uomo si senta inutile e insignificante. Chi sarebbe, quindi, l’uomo davanti al Dio perfetto e onnipotente? Questa paura può portare l’uomo ad avvicinarsi a questo incontro preoccupato per sé stesso, piuttosto che con onestà, purezza, cuore aperto e momentaneo oblio dell’ego, umiltà.

Il pane lievitato e il miele simboleggiano gli aspetti positivi della vita umana. Il pane raggiunge il suo stato più alto quando è lievitato e cotto, ed i frutti dolci e saporiti rappresentano l’uomo quando è soddisfatto di sé. Essere contenti di sé stessi è ovviamente una buona condizione: una persona non è obbligata a vivere con un sentimento di insoddisfazione e inadempimento.

Tuttavia, quando l’uomo è soddisfatto del suo stato, c’è il rischio che venga trascinato nel regno dell’orgoglio e dell’eccessiva sicurezza di sé. Equilibrio è la parola chiave: accontentati di te stesso, ma ricorda che, come ogni persona, anche tu hai margini di miglioramento. Questa consapevolezza favorisce l’umiltà nell’uomo.

Il momento in cui l’uomo sperimenta la sublime esperienza spirituale dell’incontro con Dio è un momento puro. Una persona che arriva a questo momento con un ego gonfiato, con un’eccessiva soddisfazione di sé, perderà la vera essenza, una preparazione che può cambiare la vita. Pertanto, siamo tenuti a rimuovere dai sacrifici i simboli dell’autocompiacimento, il lievitato e il dolce, affinché l’atto dell’offerta non risulti vuoto e privo di significato ma incida e plasmi in modo adeguato la personalità di ogniuno di noi.

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