Arresti e fedeltà forzata: la difficile prova degli ebrei iraniani
di Davide Cucciati
pubblicato su Bat Magazine Mosaico
Secondo quanto riportato da Iran International e ripreso da Israel National News, nelle ultime settimane le autorità iraniane hanno avviato una vasta operazione di arresti e perquisizioni nelle case di famiglie ebree a Teheran, Shiraz e Isfahan. Una nuova ondata di repressione che colpisce una comunità già ridotta a circa 10.000 persone, rispetto agli 80.000 ebrei presenti nel Paese prima della Rivoluzione islamica del 1979.
Le forze di sicurezza hanno sequestrato telefoni, computer e oggetti personali, fermando per ore o giorni interi coloro che avevano contatti digitali con parenti in Israele o che in passato avevano viaggiato nello Stato ebraico, in violazione delle severe leggi iraniane. I nomi di decine di detenuti sono stati pubblicati, ma il numero complessivo degli arrestati rimane incerto. Nelle comunità si respira un clima di paura, con segnalazioni di intere famiglie portate via per essere interrogate.
Gli arresti avvengono all’indomani dell’operazione Rising Lion, aggravando la tensione interna. In questo contesto, i leader della comunità ebraica iraniana hanno ribadito pubblicamente la loro lealtà al regime. Il Dr. Younes, rappresentante della minoranza ebraica nel parlamento iraniano, ha dichiarato che i raid israeliani hanno causato “gravi problemi” anche agli ebrei, con danni alle abitazioni, aggiungendo: “Gli ebrei iraniani restano fedeli alla Repubblica Islamica e ai suoi ideali” e “I sionisti hanno sottovalutato la forza dell’Iran. Netanyahu e Trump ora vedono che l’Iran risponde con decisione”. Parole analoghe sono arrivate dal rabbino capo Yehuda Garami, che ha definito l’Iran “la patria degli ebrei iraniani” ed espresso sostegno al regime, criticando apertamente Israele e gli Stati Uniti. Alcuni leader comunitari hanno condannato il sionismo come una “distorsione dell’ebraismo” e lodato la “moderazione” dell’Iran nell’accettare il cessate il fuoco.
Il Jerusalem Post riporta che giovedì scorso si è tenuta a Teheran una cerimonia pubblica di sostegno al regime, a cui hanno partecipato ebrei in uniforme militare e con la kippah per celebrare la “risposta decisiva” delle Forze Armate iraniane agli attacchi israeliani. Durante l’evento, Homayoun Sameyah Najafabadi, rappresentante della comunità ebraica nell’Assemblea Consultiva Islamica, ha confermato i danni subiti dagli edifici comunitari durante i raid.
Mentre la leadership ebraica iraniana ripete la fedeltà alla Repubblica Islamica, la comunità vive giorni di incertezza, in un equilibrio fragile tra la necessità di sopravvivere e l’ombra delle tensioni geopolitiche che, ancora una volta, si riflettono sulla vita quotidiana degli ebrei rimasti in Iran. Un equilibrio che rende arduo perfino la verifica dei fatti: la redazione di Mosaico, mantenendo l’anonimato delle fonti per tutelarne la sicurezza, ha ricevuto conferma degli arresti da iraniani non ebrei, mentre un iraniano ebreo ha smentito le notizie.
Secondo il Times of Israel, i contatti tra la comunità ebraica iraniana e il mondo esterno sono generalmente scarsi, il che porta facilmente a fraintendimenti. Le linee di comunicazione sono spesso intercettate e il contatto diretto con Israele è severamente proibito dal regime iraniano; quindi, gran parte di ciò che si sa viene filtrato attraverso i canali iraniani “ufficiali”. Ciò rende difficile valutare i veri sentimenti della comunità.
In questi casi, non resta che riportare quanto riferito dalle varie fonti, confidando nel discernimento del lettore.