Il leader come servitore – Parashat Korach

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l

tradotto ed adattato da David Malamut

Così disse Korach a Mosè. E Korach aveva ragione. Al centro della sua sfida c’è l’idea di uguaglianza. Questa è sicuramente un’idea ebraica. Non era forse Thomas Jefferson al suo apice biblico quando scrisse, nella Dichiarazione d’Indipendenza, che “Riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali“?

Certo, Korach non intende quello che dice. Afferma di opporsi all’istituzione stessa della leadership, e allo stesso tempo vuole essere lui il leader. “Tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” è il settimo comandamento nel famoso libro “La fattoria degli animali” di George Orwell, la sua critica alla Russia stalinista. Ma cosa sarebbe successo se Korach avesse pensato davvero? Se fosse stato sincero? C’è, a prima vista, una logica convincente in ciò che dice. Dio non ha forse chiamato Israele a diventare “un regno di sacerdoti e una nazione santa“, intendendo un regno in cui ogni membro è sacerdote, una nazione i cui cittadini sono tutti santi? Perché allora dovrebbe esserci un gruppo di sacerdoti e un solo Sommo Sacerdote? L’eroe militare Ghide’on non disse forse, all’epoca dei Giudici: “Non vi governerò, né mio figlio vi governerà. Il Signore vi governerà” (Giudici 8, 23)? Perché allora dovrebbe esserci un unico leader, nominato a vita, simile a Mosè, invece di ciò che accadde ai tempi dei Giudici, ovvero figure carismatiche che guidarono il popolo attraverso una crisi particolare e poi tornarono al loro precedente anonimato, come fecero Caleb e Pinchas durante la vita di Mosè?

E tornando al punto di Ghide’on, sicuramente il popolo non aveva bisogno di altra guida che Dio stesso. Samuele mette in guardia il popolo dai pericoli della nomina di un re:

<<E disse: Questo sarà il diritto del re che regnerà su di voi: i vostri figli piglierà, e gl’ impiegherà nei suoi cocchi e nella sua cavalleria, ed a correre innanzi al suo cocchio. E per farne comandanti sopra mille militi, o sopra cinquanta, o per arare i suoi campi, e segare la sua messe, e per fabbricare le sue armi, e gli arnesi della sua cavalleria. E le vostre figlie piglierà, per profumiere, per ciocche e per fornaje. Ed i migliori vostri campi, e vigneti ed oliveti, prenderà, e li darà ai suoi servi. E delle vostr biade e del prodotto delle vostre vigne prenderà la decima, e la darà a’ suoi servi. Prenderà eziando i vostri servim e le vostre serve, ed il fiore della vostra gioventù, nonchè gli asini vostri, e gli adopererà ne’ suoi lavori. Decimerà le vostre pecore, e voi diverrete suoi servi. E voi allora sclamerete per cagione del vostro re voluto da voi, ed in allora il Signore non vi risponderà>> (Samuele I 8, 11-18)

Questa è l’anticipazione biblica della famosa osservazione di Lord Acton secondo cui ogni potere tende a corrompere. Perché allora dare agli individui il potere che Mosè e Aronne, a modo loro, sembravano avere?

Il Midrash Tanhuma, citato da Rashi, contiene un brillante commento all’affermazione di Korach. Dice che Korach radunò i suoi cospiratori e lanciò a Mosè una sfida sotto forma di una domanda halachica:

Li vestì con mantelli fatti interamente di lana blu. Andarono e si presentarono davanti a Mosè e gli chiesero: “Un mantello fatto interamente di lana blu richiede le frange [tzitzit] o ne è esente?”. Egli rispose: “Sì, richiede [le frange]”. Cominciarono a deriderlo [dicendo]: “È possibile che un mantello di un altro materiale [colorato], con un solo filo di lana blu, lo esenti [dall’obbligo della techelet], e questo, che è fatto interamente di lana blu, non dovrebbe esentarsi?”.”(Tanhuma, Korach 4; Rashi su Numeri 16, 1)

Ciò che rende brillante questo commento è che fa due cose. In primo luogo, stabilisce una connessione tra l’episodio di Korach e il brano immediatamente precedente, la legge dello tzitzit alla fine della Parasha della settimana scorsa. Questo è il punto superficiale. Quello profondo è che il Midrash mostra abilmente come Korach abbia messo in discussione i fondamenti della leadership di Mosè e Aronne. Gli Israeliti erano “tutti santi; e Dio è in mezzo a loro“. Erano come una tunica, ogni filo della quale era di un blu regale. E proprio come una tunica blu non ha bisogno di frange aggiuntive per renderla ancora più blu, così un popolo santo non ha bisogno di persone sante come Mosè e Aronne per renderla ancora più santa. L’idea di una gerarchia di comando in “un regno di sacerdoti e una nazione santa” è una contraddizione in termini. Ognuno è come un sacerdote. Ognuno è santo. Ognuno è uguale in dignità davanti a Dio. La gerarchia non ha posto in una nazione del genere.

Cosa ha sbagliato allora Korach? La risposta è contenuta nella seconda parte della sua sfida: “Perché, dunque, vi ponete al di sopra dell’assemblea del Signore?“. L’errore di Korach è stato quello di considerare la leadership in termini di status. Un leader è qualcuno al di sopra degli altri: il maschio alfa, il capo supremo, colui che controlla, dirige, domina, colui davanti al quale le persone si prostrano, il governante, il comandante, il superiore, colui al quale gli altri si sottomettono. Questo è ciò che i leader sono nelle società gerarchiche. Questo è ciò che Korach intendeva dire quando affermava che Aronne e Mosè si stavano “ponendo al di sopra” del popolo.

Ma non è questo il significato della leadership nella Torah, e ne abbiamo già avuto molti accenni. Di Mosè si dice:

<<Mentre Mosè stesso è l’uomo più mite che sia sulla faccia della terra [cioè udì anch’egli quelle parole, ma per la mitezza del suo carattere non ne fece risentimento]>> (Numeri 12, 3)

Di Aronne e dei sacerdoti, nella loro veste di benedicenti il ​​popolo, si dice:

<<Così porranno il mio nome sopra i figli d’Israel, ed io li benedirò.>> (Numeri 6, 27)

In altre parole, i sacerdoti erano semplici veicoli attraverso cui fluiva la forza divina. Né il sacerdote né il profeta avevano potere o autorità personali. Erano trasmettitori di una parola non loro. Il profeta pronunciò la Parola di Dio per questo tempo. Il sacerdote pronunciò la Parola di Dio per sempre. Ma nessuno dei due era l’autore della Parola. Ecco perché l’umiltà non era un accidente delle loro personalità, ma l’essenza del loro ruolo.

Anche il minimo accenno al fatto che stavano esercitando la propria autorità, pronunciando parole proprie o compiendo azioni proprie, li invalidava immediatamente. Questo, infatti, è ciò che segnò il destino di Nadav e Avihu, e in seguito di Mosè e Aaronne, quando il popolo si lamentò e disse: “E Mosè ed Aronne adunarono la moltitudine davanti al sasso, e (Mosè) disse loro: Ascoltate, o ribelli! Potremmo noi da questo sasso farvi uscire dell’acqua?” (Numeri 20, 10).

Ci sono molte interpretazioni su cosa sia andato storto in quell’occasione, ma una, innegabilmente, è che attribuirono l’azione a sé stessi piuttosto che a Dio (vedere commentario di Hezekiah ben Manoah, detto Hizkuni, sulla faccenda).

Anche a un re, secondo la legge ebraica, la carica che più si avvicina allo status, è comandato di essere umile. Deve portare con sé un rotolo della Torah e leggerlo per tutti i giorni della sua vita, “affinché impari a temere il Signore suo Dio e a seguire attentamente tutte le parole di questa legge e questi decreti e a non considerarsi superiore ai suoi fratelli israeliti” (vedere Deuteronomio 17, 19-20 e Maimonide, Leggi dei Re, 2, 6).

Nell’ebraismo la leadership non è una questione di status, ma di funzione. Un leader non è qualcuno che si considera superiore a coloro che guida. Questo, nell’ebraismo, è un difetto morale, non un segno di prestigio. L’assenza di gerarchia non significa assenza di leadership. Un’orchestra ha ancora bisogno di un direttore d’orchestra. Un’opera teatrale ha ancora bisogno di un regista. Una squadra ha ancora bisogno di un capitano.

Un leader non deve essere uno strumentista, un attore o un musicista migliore di coloro che guida. Il suo ruolo è diverso. Deve coordinare, dare struttura e forma all’impresa, assicurarsi che tutti seguano lo stesso copione, procedano nella stessa direzione, agiscano come un ensemble piuttosto che come un gruppo di prime donne. Deve avere una visione e comunicarla. A volte deve imporre la disciplina. Senza leadership, anche la più scintillante gamma di talenti produce non musica, ma rumore. Questo non è sconosciuto nella vita ebraica, ieri e oggi.

A quei tempi non c’era re in Israele. Ognuno faceva ciò che gli pareva giusto“.

(Giudici 17, 6, Giudici 21, 25)

Questo è ciò che accade quando non c’è guida.

La Torah, e il Tanach nel suo complesso, hanno un modo meraviglioso e memorabile di esprimere questo concetto. Il massimo onore di Mosè è essere chiamato eved HaShem, “il servo di Dio“. Viene chiamato così una volta alla sua morte (Deuteronomio 34, 5), e non meno di diciotto volte nel Tanach nel suo complesso. L’unica altra persona a cui viene dato questo titolo è Giosuè, due volte. Nell’ebraismo, un leader è un servitore e guidare significa servire. Qualsiasi altra cosa non è leadership come la intende l’ebraismo.

Si noti che siamo tutti servi di Dio. La Torah lo dice:

<<Perocchè egli è a me ch’i figli d’Israel son servi; servi miei sono, i quali trassi dalla terra d’Egitto. Io, il Signore, sono il vostro Dio.>> (Levitico 25, 55)

Quindi non è che Mosè fosse un essere diverso da quello che tutti noi siamo chiamati a essere. È che lo incarnava al massimo grado. Meno c’è di “sé” in chi serve Dio, più ce n’è di Dio. Mosè fu l’esempio supremo del principio del Rabbi Yohanan (Yoḥanan bar Nafḥa), secondo cui “Dove trovi l’umiltà, lì trovi la grandezza“.

Una delle caratteristiche più tristi dell’ebraismo è che tendiamo a dimenticare che molte delle grandi idee di cui altri si appropriano sono in realtà nostre. Lo stesso vale per la Servant Leadership, espressione e teoria associata a Robert K. Greenleaf (1904-1990). Lo stesso Greenleaf la derivò da un romanzo di Hermann Hesse con sfumature buddiste, e in effetti il ​​concetto ebraico è diverso dal suo. Greenleaf sosteneva che il leader è il servitore di coloro che guida. Nell’ebraismo un leader è il servitore di Dio, non del popolo, ma non è nemmeno il loro padrone. Solo Dio lo è. Ne è al di sopra di loro: lui e loro sono uguali. Egli è semplicemente il loro maestro, guida, avvocato e difensore. Il suo compito è ricordare loro senza sosta la loro vocazione e ispirarli a rimanervi fedeli.

Nell’ebraismo, la leadership non riguarda la popolarità:

Se uno studioso è amato dalla gente del suo paese, non è perché è dotato, ma perché non riesce a rimproverarli nelle questioni celesti.” (Trattato di Ketubot 105b)

Un vero leader non è nemmeno desideroso di assumere l’incarico. Quasi senza eccezioni, i grandi leader del Tanach erano riluttanti ad assumere il ruolo di leader. Rabban Gamliel lo riassunse quando disse a due saggi che voleva nominare:

Pensi che ti stia offrendo il potere? Ti sto offrendo l’avdut, la possibilità di servire.” (Trattato di Horayot 10a-b)

Questo, quindi, fu l’errore di Korach. Pensava che i leader fossero coloro che si ponevano al di sopra della congregazione. Aveva ragione a dire che questo tipo di governante, sovrano, non ha posto nell’ebraismo. Siamo tutti chiamati a essere servi di Dio. La leadership non riguarda lo status, ma la funzione. Senza tzitzit, una tunica blu è solo una tunica, non un indumento sacro. Senza leadership, il popolo ebraico è solo un popolo, un gruppo etnico, non una nazione santa. E senza il monito che siamo una nazione santa, chi diventeremo allora, e perché?

 

 

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