I nostri figli camminano avanti – Parshat Lech Lecha
di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l
Tradotto ed adattato da David Malamut
SOMMARIO:
In risposta alla chiamata di Dio, Abramo e Sara iniziano il loro viaggio verso una nuova terra e un nuovo tipo di fede, che diventerà il contesto dell’intero dramma ebraico da quel momento in poi.
Ci sono delle battute d’arresto iniziali. C’è una carestia e devono partire. C’è una lite tra Abramo e suo nipote Lot, e i due si separano. Lot viene catturato in una guerra locale e Abramo deve combattere una battaglia per liberarlo.
Dio stringe quindi un patto con Abramo, che rimane senza figli. Su suggerimento di Sara, Abramo ha un figlio, Ismaele, dalla sua serva Agar, ma Dio gli dice che non è lui l’erede del patto.
La chiamata ad Abramo, con cui inizia Lech Lecha, sembra arrivare dal nulla:
<< Vanne dal tuo paese, dal tuo parentado, e dalla casa di tuo padre, al paese che ti farò vedere.>> (Genesi 12, 1)
Nulla ci ha preparato a questo radicale cambiamento. Non abbiamo avuto una descrizione di Abramo come nel caso di Noè (“Noè era un uomo giusto, integro ai suoi tempi; Noè camminò con Dio“). Né ci è stata offerta una serie di scorci della sua infanzia, come nel caso di Mosè. È come se la chiamata di Abramo rappresentasse una rottura improvvisa con tutto ciò che lo aveva preceduto. Sembra non esserci alcun preludio, alcun contesto, alcun retroscena.
A questo si aggiunge un curioso versetto nell’ultimo discorso pronunciato da Giosuè, successore di Mosè:
“E Giosuè disse a tutto il popolo: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: “I vostri padri, Terach, padre di Abramo e padre di Nachor, abitavano anticamente oltre il fiume (Eufrate), e servivano altri dèi.” (Giosuè 24, 2)
L’implicazione sembra essere che il padre di Abramo fosse un idolatra. Da qui la famosa tradizione midrashica secondo cui, da bambino, Abramo ruppe gli idoli del padre. Quando Terach gli chiese chi avesse fatto il danno, egli rispose: “Il più grande degli idoli prese un bastone e ruppe il resto“.
“«Perché mi inganni?» chiese Terach. «Gli idoli hanno forse intelligenza?»
«Ascolti con le tue orecchie ciò che dice la tua bocca», rispose il bambino.” (Bereishit Rabbah 38, 8)
Secondo questa lettura, Abramo era un iconoclasta, un distruttore di immagini, uno che si ribellò alla fede del padre.
Maimonide, il noto filosofo, la mise in modo leggermente diverso. In origine, gli esseri umani credevano in un unico Dio. In seguito, iniziarono a offrire sacrifici al sole, ai pianeti, alle stelle e ad altre forze della natura, come creazioni o servitori dell’unico Dio. Più tardi ancora, li adorarono come entità, delle deità, a pieno titolo. Ci volle Abramo, usando solo la logica, per rendersi conto dell’incoerenza del politeismo:
“Dopo lo svezzamento, quando era ancora un neonato, la sua mente cominciò a riflettere. Giorno e notte, pensava e si chiedeva: com’è possibile che questa sfera celeste guidi continuamente il mondo, senza qualcosa che la guidi e la faccia ruotare? Perché non può muoversi da sola. Non aveva maestro o mentore, perché era immerso in Ur dei Caldei tra idolatri stolti. Suo padre, sua madre e l’intera popolazione adoravano idoli, e lui adorava con loro. Continuò a speculare e riflettere finché non raggiunse la via della verità, comprendendo ciò che era giusto attraverso i propri sforzi. Fu allora che comprese che c’è un solo Dio che guida i corpi celesti, che ha creato ogni cosa e oltre al quale non c’è altro dio.” (Maimonide, Leggi sull’idolatria 1, 2)
Ciò che accomuna Maimonide e il Midrash è la discontinuità. Abramo rappresenta una rottura radicale con tutto ciò che lo ha preceduto.
È interessante notare, tuttavia, che il capitolo precedente ci offre una prospettiva completamente diversa:
<< E questa è la discendenza di Terahh: Terahh generò Abramo, Nahhòr, e
Haràn; e Haràn generò Lot. Haràn morì in vita di Terahh suo padre, nella terra dov’era nato, (cioè) in Ur-Casdìm. Abramo e Nahhòr presero mogli. La moglie d’Abramo avea nome Sarai, e la moglie di Nahhòr chiamavasi Milcà. Questa era figlia di Haràn, il quale fu padre di Milcà e di Iscà. Sarai era sterile, non aveva prole. Terahh prese Abramo suo figlio, Lot figlio di Haràn suo nipote, e Sarai sua nuora, moglie d’Abramo suo figlio; ed uscirono unitamente a quelli [cioè con Nahhòr e sua moglie] da Ur-Casdìm, per andare nel paese di Canaan; e andati sino a Hharàn, stettero ivi. I giorni di Terahh furono duecento e cinque anni, indi Terahh morì in
Haràn. >> (Genesi 11, 27-32)
L’implicazione sembra essere che, lungi dal rompere con il padre, Abramo stesse continuando un viaggio che Terach aveva già iniziato.
Come possiamo conciliare questi due passi? Il modo più semplice, adottato dalla maggior parte dei commentatori, è che non siano in sequenza cronologica. La chiamata ad Abramo (in Genesi 12) avvenne per prima. Abramo udì la chiamata divina e la comunicò al padre. La famiglia partì insieme, ma Terach si fermò a metà strada, ad Haran. Il passo che registra la morte di Terach è collocato prima della chiamata di Abramo, sebbene avvenne più tardi, per proteggere Abramo dall’accusa di non aver onorato il padre abbandonandolo in età avanzata (Rashi, Midrash).
Eppure, c’è un’altra ovvia possibilità. L’intuizione spirituale di Abramo non venne dal nulla. Terach aveva già compiuto il primo tentativo di avvicinamento al monoteismo. I figli completano ciò che i genitori iniziano.
È significativo che sia la Bibbia che la tradizione rabbinica concepissero la genitorialità divina in questo modo. Contrapponevano la descrizione di Noè (“Noè camminò con Dio“) a quella di Abramo (“Il Dio davanti al quale ho camminato“, Genesi 24, 40). Dio stesso dice ad Abramo: “Cammina davanti a Me e sii perfetto” (Genesi 17, 1). Dio indica la via, poi sfida i Suoi figli a camminare avanti.
In uno dei passi talmudici più famosi, il Talmud babilonese (Baba Metzia 59b), si descrive come i Saggi superarono Rabbi Eliezer nel voto nonostante la sua opinione fosse supportata da una Voce Celeste. Prosegue descrivendo un incontro tra Rabbi Natan e il Profeta Elia. Rabbi Natan chiede al Profeta: quale fu la reazione di Dio in quel momento, quando la legge fu decisa a maggioranza anziché seguire quella Voce Celeste? Elia risponde: “Sorrise e disse: ‘I miei figli mi hanno sconfitto! I miei figli mi hanno sconfitto!’”
Essere genitori nell’Ebraismo significa creare uno spazio in cui un figlio possa crescere. Sorprendentemente, questo vale anche quando il genitore è Dio (Avinu, “Padre nostro“) stesso. Nelle parole del rabbino Joseph Soloveitchik:
“Il Creatore del mondo ha diminuito l’immagine e la statura della creazione per lasciare all’uomo qualcosa da fare, l’opera delle sue mani, per adornare l’uomo con la corona di creatore e artefice.” (Halachic Man, p. 107)
Questa idea trova espressione nell’halachah, la legge ebraica. Nonostante l’enfasi della Torah sull’onorare e riverire i genitori, Maimonide afferma:
“Sebbene ai figli sia comandato di fare grandi sforzi [nell’onorare i genitori], a un padre è proibito imporre loro un giogo troppo pesante, o essere troppo esigente con loro in questioni relative al suo onore, per timore di farli inciampare. Dovrebbe perdonarli e chiudere gli occhi, perché un padre ha il diritto di rinunciare all’onore che gli è dovuto.” (Hilchot Mamrim 6, 8)
La storia di Abramo può essere letta in due modi, a seconda di come conciliamo la fine del capitolo 11 con l’inizio del capitolo 12. Una lettura enfatizza la discontinuità: Abramo ruppe con tutto ciò che era accaduto prima. L’altra, la continuità: Terach, suo padre, aveva già iniziato a lottare contro l’idolatria. Aveva intrapreso il lungo cammino verso la terra che sarebbe poi diventata santa, ma si fermò a metà strada. Abramo completò il viaggio iniziato da suo padre.
Forse l’infanzia stessa presenta la stessa ambiguità. Ci sono momenti, soprattutto nell’adolescenza, in cui ci diciamo che stiamo rompendo con i nostri genitori, tracciando un percorso completamente nuovo. Solo in retrospettiva, molti anni dopo, ci rendiamo conto di quanto dobbiamo ai nostri genitori e di come, anche in quei momenti in cui sentivamo più fortemente che stavamo intraprendendo un viaggio unicamente nostro, stavamo, di fatto, vivendo gli ideali e le aspirazioni che abbiamo imparato da loro. E tutto è iniziato con Dio stesso, che ha lasciato, e continua a lasciare, spazio a noi, Suoi figli, per andare avanti.



