Il nostro padre Giacobbe è ancora vivo? – Parashat Vayechi

 In Dall'Ufficio Rabbinico, Parashà della Settimana

di Rav Shmuel Rabinowitz, Rabbino del Kotel e luoghi sacri in Israele

tradotto da David Malamut

La parasha che leggiamo questa settimana, la Parasha di Vayechi, l’ultima del libro di Genesi, descrive la conclusione dell’era patriarcale. Abbiamo già letto della discesa di Giacobbe e della sua famiglia dalla terra di Cana’an in Egitto la settimana scorsa (la parasha di Vayigash), mentre questa settimana leggiamo della cerimonia di addio di Giacobbe con i suoi figli. Durante questo evento, Giacobbe benedice ciascuno dei suoi figli con una benedizione speciale che corrisponde alla natura del figlio e alla futura tribù che emergerà da lui: le dodici tribù da cui si formerà il popolo di Israele.

Dopo le benedizioni, Giacobbe impartisce le istruzioni (che sono di fatto “ordini”) ai suoi figli di seppellirlo nella Grotta di Machpela (la Tomba dei Patriarchi) a Hebron. Giacobbe specifica, appunto, le sepolture avvenute lì prima di lui (Genesi 49, 31): «Ivi seppellirono Abramo, e Sara sua moglie; ivi hanno seppellito Isacco e Rebecca sua moglie; ed ivi ho sepolto Leà». Poi arriva il momento doloroso (Genesi 49,33): «Giacobbe, terminato di dare gli ordini ai suoi figli, ritirò i piedi dentro del letto, indi spirò, e si raccolse alla sua gente». Il racconto prosegue poi con la descrizione dettagliata dell’imbalsamazione di Giacobbe in Egitto, secondo l’uso egiziano, e poi del corteo funebre dall’Egitto a Hebron.

Nel Talmud babilonese viene fatta un’affermazione sorprendente sulla morte di Giacobbe (Talmud Babilonese, Ta’anit 5):

«Rabbi Yochanan ha detto: Nostro padre Giacobbe non è morto!»

Il Talmud contesta questa affermazione: gli elogiatori lo hanno elogiato senza motivo? Gli imbalsamatori lo hanno imbalsamato senza motivo? I sepolcri lo hanno seppellito senza motivo? Queste domande non ci permettono di prendere alla lettera l’affermazione “Nostro padre Giacobbe non è morto”. La Torah non descrive ampiamente la morte, l’imbalsamazione e la sepoltura di Giacobbe? A questa domanda Rabbi Nachman nel Talmud risponde con un versetto tratto dal libro di Geremia, paragonando Giacobbe ai suoi discendenti. Basandosi su questo versetto, Rabbi Nachman conclude: “Proprio come i suoi discendenti sono vivi, così anche lui è vivo”.

Anche se Giacobbe muore e viene sepolto, i valori che ha lasciato in eredità continuano ad esistere e quindi, essenzialmente, Giacobbe è ancora vivo.

Sentimenti simili sono espressi da Rabbi Shimon bar Yochai: “Chiunque abbia un figlio che fatica nella Torah è come se non fosse morto” (Midrash Bereshit Rabbah 49). Una persona che lascia dietro di sé figli o studenti che seguono il suo cammino, le loro vite continuano la sua eredità. La vita di una persona non si limita a fattori biologici; ha un significato spirituale ed eterno. Una persona che porta qualcosa di positivo nel mondo, contribuisce alla società o alleva figli che portano avanti i suoi valori, dando per scontato che può essere chiunque, la sua vita persiste anche dopo la sua morte fisica.

Naturalmente tutto ciò vale solo quando vi è una continuità concreta tra ciò che la persona ha lasciato in eredità e ciò che resta dopo la sua morte. Consideriamo ad esempio l’Egitto, un impero del passato e un paese non piccolo oggi: possiamo dire che l’Egitto moderno continua l’antico impero egiziano descritto nella Bibbia? Chiaramente no. A parte alcuni ritrovamenti archeologici, non esiste alcun collegamento tra l’Egitto di oggi e l’Egitto menzionato nella Bibbia.

Quando diciamo: “Nostro padre Giacobbe non è morto”, intendiamo non solo raccontare qualcosa di Giacobbe, ma dichiarare e impegnarci a continuare il cammino di Giacobbe. Noi, popolo ebraico, discendenti del nostro patriarca Giacobbe, non vediamo i patriarchi come figure del passato che apprendiamo nelle lezioni di storia, ma come figure che ci guidano per migliaia di anni, dalle quali traiamo valori e significati. Solo così possiamo davvero dire con totale onestà: “Nostro padre Giacobbe non è morto”, e come i suoi discendenti, ovvero noi stessi, sono vivi, anche lui è vivo.

La vita eterna dei patriarchi dipende da noi. Se seguiamo il percorso dei patriarchi e lo trasmettiamo alle generazioni future, allora, in effetti, le vite dei patriarchi continuano ad esistere qui e ora.

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