La storia che sempre si ripete – Parshat Bamidbar
di Rabbino Lord Jonathan Sacks zt”l
tradotto ed adattato da David Malamut
Bamidbar riprende la storia da dove l’avevamo lasciata verso la fine del Libro di Shemot. Il popolo ha viaggiato dall’Egitto al Monte Sinai. Lì ha ricevuto la Torah. Lì ha costruito il Vitello d’Oro. Lì è stato perdonato dopo l’appassionata supplica di Mosè, e lì ha costruito il Mishkan (il Tabernacolo) inaugurato il primo di Nissan, quasi un anno dopo l’Esodo. Ora, un mese dopo, il primo giorno del secondo mese (Iyar), sono pronti a intraprendere la seconda parte del viaggio, dal Sinai alla Terra Promessa.
Eppure, c’è un curioso ritardo nella narrazione. Trascorrono dieci capitoli prima che gli Israeliti inizino effettivamente il viaggio (Numeri 10, 33). Prima c’è un censimento. Poi c’è un resoconto della disposizione delle tribù attorno all’ Ohel Moed – la Tenda del Convegno. C’è un lungo resoconto dei Leviti, delle loro famiglie e dei rispettivi ruoli. Poi ci sono le leggi sulla purezza dell’accampamento, la restituzione, la sotah (la donna sospettata di adulterio) e il nazireo. Una lunga serie di passi descrive i preparativi finali per il viaggio. Solo allora si parte. Perché questa lunga serie di apparenti digressioni, excursus?
È facile pensare alla Torah come a una semplice narrazione degli eventi così come si sono verificati, intervallata da vari comandamenti. In quest’ottica, la Torah è storia più legge. Questo è ciò che è accaduto, queste sono le regole che dobbiamo obbedire, e c’è un collegamento tra loro, a volte chiaro (come nel caso delle leggi accompagnate dal promemoria che “eravate schiavi in Egitto“), a volte meno.
Ma la Torah non è mera storia come sequenza di eventi. La Torah riguarda le verità che emergono nel tempo. Questa è una delle grandi differenze tra l’antico Israele e l’antica Grecia. L’antica Grecia cercava la verità contemplando la natura e la ragione. La prima diede origine alla scienza, la seconda alla filosofia. L’antico Israele trovò la verità nella storia, negli eventi e in ciò che Dio ci ha detto di imparare da essi. La scienza riguarda la natura, l’ebraismo riguarda la natura umana, e c’è una grande differenza tra loro. La natura non sa nulla del libero arbitrio. Gli scienziati spesso negano che esista. Ma l’umanità è costituita dalla sua libertà. Siamo ciò che scegliamo di essere. Nessun pianeta sceglie di essere ospitale per la vita. Nessun pesce sceglie di essere un eroe. Nessun pavone sceglie di essere vanitoso. Gli esseri umani scelgono. E in questo fatto nasce il dramma a cui l’intera Torah è un commento: come può la libertà coesistere con l’ordine? Il dramma è ambientato sul palcoscenico della storia e si svolge in cinque atti, ciascuno con più scene.
La struttura di base della narrazione è pressoché la stessa in tutti e cinque i casi. Prima Dio crea l’ordine. Poi l’umanità crea il caos. Ne seguono conseguenze terribili. Poi Dio ricomincia, profondamente addolorato ma senza mai perdere la fede nell’unica forma di vita su cui ha posto la Sua immagine e alla quale ha concesso il dono singolare che ha reso l’umanità simile a Dio, ovvero la libertà stessa.
Il primo atto è narrato in Genesi 1-11. Dio crea un universo ordinato e plasma l’umanità dalla polvere della terra, in cui soffia il Suo respiro. Ma gli uomini peccano: prima Adamo ed Eva, poi Caino, poi la generazione del Diluvio. La terra è piena di violenza. Dio manda il Diluvio e ricomincia, stringendo un patto con Noè. L’umanità pecca di nuovo costruendo la Torre di Babele (il primo atto dell’imperialismo, come ho sostenuto in uno studio precedente). Così Dio ricomincia, cercando un modello che mostri al mondo cosa significhi vivere in risposta fedele alla parola di Dio. Lo trova in Abramo e Sara.
Il secondo atto è narrato in Genesi 12-50. Il nuovo ordine si basa sulla famiglia e sulla fedeltà, sull’amore e sulla fiducia. Ma anche questo inizia a disgregarsi. C’è tensione tra Esaù e Giacobbe, tra le mogli di Giacobbe, Lia e Rachele, e tra i loro figli. Dieci dei figli di Giacobbe vendono l’undicesimo, Giuseppe, come schiavo. Questa è un’offesa alla libertà, e ne consegue una catastrofe: non un diluvio, ma una carestia, a seguito della quale la famiglia di Giacobbe va in esilio in Egitto, dove l’intero popolo diventa schiavo. Dio sta per ricominciare, non con una famiglia questa volta, ma con una nazione, che è ciò che ora sono diventati i figli di Abramo.
L’atto terzo è l’argomento del libro di Shemot. Dio salva gli Israeliti dall’Egitto come aveva già salvato Noè dal Diluvio. Come con Noè (e Abramo), Dio stipula un patto, questa volta al Sinai, ed è molto più esteso dei precedenti. È un modello per l’ordine sociale, per un’intera società basata sulla legge e sulla giustizia. Ancora una volta, tuttavia, gli esseri umani creano il caos, creando un Vitello d’Oro appena quaranta giorni dopo la grande rivelazione. Dio minaccia la catastrofe, distruggendo l’intera nazione e ricominciando da Mosè, come aveva fatto con Noè e Abramo (Esodo 32, 10). Solo l’appassionata supplica di Mosè impedisce che ciò accada. Dio istituisce quindi un nuovo ordine.
L’atto quarto inizia con il resoconto di quest’ordine, che è di una lunghezza senza precedenti, estendendosi da Esodo 35, attraverso l’intero libro di Vayikra e i primi dieci capitoli di Bamidbar (Numeri). La natura di questo nuovo ordine è che Dio non diventa semplicemente il direttore della storia e il datore di leggi. Egli diventa una Presenza permanente in mezzo all’accampamento. Da qui la costruzione del Mishkan, che occupa l’ultimo terzo dello Shemot, e le leggi di purezza e santità, così come quelle di amore e giustizia, che costituiscono virtualmente l’intero Vayikra. Purezza e santità sono richieste dal fatto che Dio è diventato improvvisamente vicino. Nel Tabernacolo, la Presenza Divina ha una dimora sulla terra, e chiunque si avvicini a Dio deve essere santo e puro. Ora gli Israeliti sono pronti a iniziare la fase successiva del viaggio, ma solo dopo una lunga introduzione.
Quella lunga introduzione, all’inizio di Bamidbar, è tutta incentrata sulla creazione di un senso di ordine all’interno dell’accampamento. Da qui il censimento, la disposizione dettagliata delle tribù e il lungo resoconto dei Leviti, la tribù che mediava tra il popolo e la Presenza Divina. Da qui anche, nella Parasha della prossima settimana, le tre leggi, la restituzione, la sotah e il nazir, rivolte alle tre forze che mettono sempre in pericolo l’ordine sociale: il furto, l’adulterio e l’alcol. È come se Dio dicesse agli Israeliti: ecco cos’è l’ordine. Ogni persona ha il suo posto all’interno della famiglia, della tribù e della nazione. Ognuno è stato contato e ogni persona conta. Preservate e proteggete questo ordine, perché senza di esso non potete entrare nella terra, combattere le sue battaglie e creare una società giusta.
Tragicamente, mentre si svolge Bamidbar, vediamo che gli Israeliti si rivelano i loro peggiori nemici. Si lamentano del cibo. Miriam e Aronne si lamentano di Mosè. Poi arriva la catastrofe, l’episodio delle spie, in cui il popolo, demoralizzato, dimostra di non essere ancora pronto per la libertà. Di nuovo, come nel caso del Vitello d’Oro, nell’accampamento regna il caos. Di nuovo Dio minaccia di distruggere la nazione e di ricominciare da capo con Mosè (Numeri 14, 12). Di nuovo solo la potente supplica di Mosè salva la situazione. Dio decide ancora una volta di ricominciare, questa volta con la generazione successiva e un nuovo leader. Il libro del Devarim è il preludio di Mosè all’atto quinto, ambientato ai tempi del suo successore Giosuè.
La storia ebraica è strana. Il popolo ebraico si è ripetutamente diviso: ai tempi del Primo Tempio, quando il regno si divise in due; alla fine del Secondo Tempio, quando fu diviso in gruppi e sette rivali; e nell’era moderna, all’inizio del XIX secolo, quando si frammentò in religiosi e laici nell’Europa orientale, ortodossi e altri in Occidente. Queste divisioni non si sono ancora rimarginate.
E così il popolo ebraico continua a ripetere la storia narrata cinque volte nella Torah. Dio crea l’ordine. Gli uomini creano il caos. Succedono cose brutte, poi Dio e Israele ricominciano. La storia non finirà mai? In un modo o nell’altro, non è un caso che Bamidbar di solito preceda Shavuot, l’anniversario del dono della Torah al Sinai. Dio non si stanca mai di ricordarci che la sfida umana centrale in ogni epoca è se la libertà possa coesistere con l’ordine. Può, quando gli uomini scelgono liberamente di seguire le leggi di Dio, date in un modo all’umanità dopo il Diluvio e in un altro a Israele dopo l’Esodo.
L’alternativa, antica e moderna, è il dominio del potere, in cui, come disse Tucidide (storico ateniese nei tempi dell’Antica Grecia e autore di un accurato resoconto sulla grande guerra tra Atene e Sparta), i forti fanno ciò che vogliono e i deboli soffrono come devono. Questa non è la libertà come la intende la Torah, né è una ricetta per l’amore e la giustizia. Ogni anno, mentre ci prepariamo a Shavuot leggendo la Parshat Bamidbar, ascoltiamo la chiamata di Dio: qui nella Torah, e nelle sue mitzvot, c’è la via per creare una libertà che onori l’ordine, e un ordine sociale che onori la libertà umana. Non c’è altra via.