Burro o cannoni? Purtroppo i palestinesi hanno fatto la loro scelta

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Stephen M. Flatow, autore di questo articolo

Certo, è paradossale che un dirigente palestinese che ha accusato Israele di diffondere deliberatamente il coronavirus si sia fatto ricoverare in un ospedale israeliano ora che ne è ammalato. Ma le implicazioni di questo episodio sono molto più significative dell’ennesima, amara ironia sull’ipocrisia palestinese.

La doppia faccia di questa settimana è quella Saeb Erekat, il segretario generale del Comitato esecutivo dell’Olp che ha rappresentante l’Olp in vari negoziati ed è stato portavoce di Yasser Arafat presso i mass-media stranieri. Tra le tante calunnie che Erekat ha diffuso contro Israele è rimasta particolarmente famosa quella del 2002 quando proclamò a gran voce che Israele aveva “massacrato” più di 500 civili arabi palestinesi a Jenin. In realtà i morti erano 53, ed erano terroristi uccisi in una battaglia in cui caddero anche 23 soldati israeliani.

Una calunnia anti-israeliana più recente da parte di Erekat è stata la sua dichiarazione al quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida del 20 marzo scorso secondo cui gli israeliani “sputano su auto e proprietà palestinesi allo scopo di contaminarli con la malattia del coronavirus” e soddisfare “la loro sfrenata volontà di sbarazzarsi del popolo palestinese in qualsiasi modo” (tradotto in inglese da Palestinian Media Watch).

Saeb Erekat, segretario generale del Comitato esecutivo dell’Olp

Quando lo stesso Erekat si è ammalato di covid-19, la settimana scorsa, aveva molti ospedali arabi palestinesi tra cui scegliere. Avrebbe potuto farsi curare presso l’ospedale più vicino a casa sua, che è il Jericho Government Hospital. Oppure in uno dei 15 ospedali in altre aree sotto controllo dell’Autorità Palestinese, come il “Martyr Yasser Arafat Government Hospital” di Salfit. O in uno dei cinque ospedali che si trovano nei quartieri prevalentemente arabi di Gerusalemme orientale. Invece no, Erekat ha insistito per essere portato all’ospedale israeliano Hadassah, nel quartiere Ein Kerem di Gerusalemme ovest. E naturalmente l’ottimo staff dell’Hadassah lo ha accolto al meglio, nonostante tutto il sangue ebraico versato in anni di attacchi terroristici perpetrati dall’organizzazione di cui Erekat era, ed è, un insigne rappresentante.

Sono sicuro che, da un punto di vista medico, quella di Erekat è stata una saggia decisione. Senza dubbio qualsiasi ospedale israeliano è meglio attrezzato di qualsiasi ospedale dell’Autorità Palestinese. Se hai il covid-19, Gerusalemme o Tel Aviv o Haifa è il posto dove andare, non Ramallah. Ma la domanda è: come mai? Certo non perché Israele proibisca all’Autorità Palestinese di formare medici e paramedici. Non lo impedisce e non l’ha mai impedito, anzi. E non perché qualche blocco israeliano impedisca all’Autorità Palestinese di importare materiali e apparecchiature mediche. Non esiste nessun blocco del genere. Il vero motivo è che l’Autorità Palestinese preferisce spendere i suoi soldi in cannoni anziché in burro. O meglio, in questo caso: in armi e stipendi ai terroristi, anziché in farmaci e respiratori.

Composizione e struttura di comando delle forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese (Washington Institute for Near East Policy, 2018 – clicca per ingrandire)

L’Autorità Palestinese dispone di una delle più grandi forze di sicurezza pro capite al mondo. L’anno scorso l’agenzia di stampa araba palestinese Shehab ha riferito che l’Autorità Palestinese conta “65.000 militari” tra poliziotti e svariate “forze di sicurezza” che funzionano come un esercito de facto. Secondo Shehab, nel 2018 l’Autorità Palestinese ha speso più di un miliardo di dollari per queste forze. A cosa diavolo servono 65.000 militari all’Autorità Palestinese? Non è che l’Autorità Palestinese abbia mai dovuto combattere delle guerre. Non è che l’Autorità Palestinese sia minaccia da un qualunque stato della regione. In base agli accordi di Oslo, le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese dovrebbero servire per garantire l’ordine interno e arrestare i terroristi: un compito, quest’ultimo, che non hanno mai preso troppo sul serio, motivo per cui l’esercito israeliano deve continuare ad entrare nelle aree sotto Autorità Palestinese per arrestare i terroristi che le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese lasciano stare.

Le percentuali esatte sono difficili da reperire, ma secondo un rapporto del Ministero delle finanze dell’Autorità Palestinese del febbraio 2015 “gli stanziamenti di bilancio per i servizi di sicurezza nel budget generale 2014 della Palestina ammontavano al 28%” del totale. Una cifra che potrebbe in realtà essere anche più alta. L’anno scorso il vice presidente del Consiglio Legislativo dell’Autorità Palestinese, Hassan Khreisheh, ha dichiarato al mass-media arabo Al-Monitor che “le spese per la sicurezza sono molto più alte, raggiungendo il 35% del bilancio pubblico”.

Un’altra grossa fetta del budget annuale dell’Autorità Palestinese viene utilizzata per pagare i terroristi incarcerati e le famiglie dei terroristi morti compiendo attentati. Anche il Washington Post, che è assai solidale con la causa palestinese, ha preso atto che nel 2017 l’Autorità Palestinese ha versato 160 milioni di dollari ai terroristi nelle carceri israeliane e altri 183 milioni di dollari alle famiglie dei terroristi “martiri”. Si tratta in totale di 343 milioni di dollari investiti nel programma che premia e incoraggia il terrorismo.

Si immagini quante vite arabe palestinesi si potrebbero salvare se l’Autorità Palestinese avesse investito anche solo una parte di tutti questi soldi in medicine e attrezzature per combattere il coronavirus. In quel caso, persino Saeb Erekat avrebbe forse accettato di farsi curare in un ospedale dell’Autorità Palestinese.

(Da: jns.org, 19.10.230)

 

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