Parashat Behàr Sinài Bechukkotài

 In Dall'Ufficio Rabbinico
Articolo di Rabbi Jonathan Sacks dal titolo “Minority Rights”, commento parasha Behar Sinai
Uno degli aspetti più significativi della Torah è l’enfasi che essa pone sull’amore e sulla protezione rivolti al gher, lo straniero:
Non opprimere lo straniero; voi conoscete l’animo dello straniero, poiché siete stati stranieri in terra d’Egitto (Esodo 23:9).

Poiché il Signore, il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali, che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito. Amate dunque lo straniero, poiché anche voi siete stati stranieri nel paese d’Egitto (Deut. 10:17-19).
I Saggi d’Israele sono giunti ad affermare addirittura che la Torah ci comanda in una sola occasione di amare il nostro vicino, ma ben trentasei volte di amare lo straniero (Baba Metsia 59b).
Qual è la definizione di “straniero”? È chiaro che il riferimento sia a qualcuno che non è Ebreo per nascita. Il termine potrebbe applicarsi a uno degli abitanti originari della terra di Canaan, a un membro della “moltitudine mista” che lasciò l’Egitto assieme agli Israeliti, oppure a un forestiero che entra nel paese in cerca di sicurezza o di mezzi di sussistenza.
In ogni caso, l’importanza attribuita al trattamento degli stranieri da parte degli Israeliti è immensa. Essa deriva da ciò che gli Israeliti stessi dovevano aver appreso dalla loro esperienza di esilio e sofferenza in Egitto: essi erano stati stranieri ed erano stati oppressi, dunque conoscevano “l’animo dello straniero”, e non era loro concesso infliggere agli altri ciò che essi avevano subito in prima persona.
I Saggi sostengono che la parola gher possa avere due significati diversi. Il primo è quello di gher tzedek, un convertito all’Ebraismo che ha accettato tutti i comandamenti e gli obblighi della nuova fede. L’altro è quello di gher toshav, il “residente straniero”, che non ha adottato la religione ebraica pur vivendo nella terra d’Israele. La Parashah di Behar (Levitico 25:1 – 26:2) comunica i diritti di questa categoria di persone, e in particolare afferma:
Se un tuo fratello diviene povero e si trova nell’indigenza in mezzo a voi, tu lo sosterrai come uno straniero e un residente, perché possa vivere presso di te (Levitico 25:35).
Esiste, in altre parole, un obbligo di fornire supporto e di sostenere un residente straniero. Non solo questi ha il diritto di vivere nella terra santa, ma anche quello di beneficiare della “previdenza sociale”. Bisogna ricordare che si tratta di una legge davvero molto antica, che precede di molto i principi formulati dai Saggi come quello delle “vie della pace”, che obbliga gli Ebrei a estendere la cura e la carità anche ai non-Ebrei oltre che ai loro fratelli.
Che cos’era dunque un gher toshav? Il Talmud riporta a questo proposito tre opinioni: secondo Rabbi Meir, si tratta di chiunque si sia imposto di non adorare gli idoli; secondo i Saggi, è invece chi si impegna a osservare i sette comandamenti noachidi. Una terza opinione, più rigida, sostiene che si tratti di colui che ha accettato di osservare tutti i precetti della Torah ad eccezione di uno: la proibizione di nutrirsi di carne non macellata secondo il rituale prescritto (Avodah Zarah 64b). La legge accettata come valida segue l’opinione dei Saggi. Un gher toshav èquindi un non-Ebreo che vive in Israele e che accetta le leggi noachidi che sono vincolanti per tutta l’umanità.
La legislazione del gher toshav è dunque una delle prime forme mai esistite di diritti delle minoranze. Secondo Rambam, gli Ebrei che vivono in Israele hanno l’obbligo di istituire dei tribunali per i residenti stranieri in modo da permettere loro di risolvere le dispute (sorte tra di essi o con gli Ebrei) come prevede la legge noachide. Rambam aggiunge: “Chiunque dovrebbe agire nei confronti dei residenti stranieri con lo stesso rispetto e la stessa cura che si deve a un fratello ebreo” (Hilkhot Melakhim 10:12).
La differenza tra questa legislazione e quella più tarda delle “vie della pace” consiste nel fatto che la seconda si applica ai non-Ebrei a prescindere dalla loro fede e dalle loro pratiche religiose. Essa risale a un’epoca in cui gli Ebrei erano una minoranza che viveva in un ambiente prevalentemente non ebraico e non monoteista. Le “vie della pace” sono essenzialmente regole pragmatiche simili a ciò che oggi chiameremmo norme di pacifica convivenza e cittadinanza attiva in una società multietnica e multiculturale. La legislazione del gher toshav arriva invece più in profondità: essa non è basata sul pragmatismo, ma su un principio religioso. Secondo la Torah, non è necessario essere Ebrei per godere di molti diritti e della cittadinanza in una società ebraica e nella terra degli Ebrei; è semplicemente necessario essere persone morali.
Un esempio biblico illustra tale principio con enorme efficacia. Un giorno, come racconta il Libro di Samuele, il re David si innamora di Batsheva, moglie di un gher toshav chiamato Uriah l’Ittita, e ha con lei una relazione adultera. Ella rimane incinta, mentre il marito Uriah si trova lontano da casa per combattere al servizio dell’esercito d’Israele. David, a causa del timore che l’adulterio venga scoperto e che sia rivelata la sua colpevolezza, fa tornare indietro Uriah con il pretesto di voler discutere sull’andamento delle battaglie. In seguito, egli esorta Uriah ad andare a casa e a dormire con sua moglie prima di ritornare all’accampamento, in modo che egli, in futuro, potrà credere di essere il padre del bambino che nascerà. Il piano fallisce, ed ecco cosa accade:
Uriah uscì dalla reggia e gli fu mandata dietro una portata della tavola del re. Ma Uriah dormì alla porta della reggia con tutti i servi del suo signore e non scese a casa sua. La cosa fu riferita a David e gli fu detto: «Uriah non è sceso a casa sua». Allora David disse a Uriah: «Non vieni forse da un viaggio? Perché dunque non sei sceso a casa tua?» Uriah rispose a David: «L’arca, Israele e Giuda abitano sotto le tende, Ioav mio signore e la sua gente sono accampati in aperta campagna e io dovrei entrare in casa mia per mangiare e bere e per dormire con mia moglie? Per la tua vita e per la vita della tua anima, io non farò una cosa simile!» (1Samuele 11:8-11).
La completa lealtà di Uriah nei confronti del popolo ebraico, malgrado il fatto che egli stesso non sia Ebreo, è posta in contrasto con la figura del re David, che rimane a Gerusalemme, non parte con l’esercito, e ha rapporti con la moglie di un altro uomo. Il fatto che la Bibbia possa narrare una storia come questa, in cui un residente straniero svolge il ruolo dell’eroe morale, mentre a David, il più grande re d’Israele, spetta la parte del malfattore, ci dice molto sui valori morali dell’Ebraismo.
I diritti delle minoranze sono ciò che più di ogni altra cosa può mettere alla prova una società per mostrare se essa è libera e giusta. Fin dall’epoca di Mosè, essi sono stati posti al centro della visione sociale che Dio vuole creare nella terra d’Israele. È dunque di vitale importanza, per noi, prendere sul serio questi diritti nel nostro tempo.
Tratto da Bet Magazine – Mosaico CEM- Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
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